Anche quest'anno l'ISAAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications) ha pubblicato il rapporto aggiornato sulla diffusione nel mondo delle colture derivate da miglioramento biotecnologico.
QUALCHE DATO
A 23 ani dalla prima semina su larga scala, le colture biotech superano ormai i 190 milioni di ettari, distribuiti tra 26 Paesi, con un ulteriore incremento tra 2017 e 2019 di 1,9 milioni di ettari.
L'incremento annuale risulta chiaramente meno rilevante rispetto alle crescite tumultuose dei primi anni, crescite che ne hanno fatto la tecnologia di più rapido sviluppo e adozione nell'intera storia dell'agricoltura mondiale.
COME INTERPRETARE QUESTI NUMERI?
Numeri piccoli a livello globale, ma se facciamo un paragone con l'Italia 1,9 milioni di ettari sono più di tutta la superficie coltivata a frumento, tenero e duro, e circa tre volte la superficie coltivata a mais. Fatte le proporzioni, la principale considerazione è che ci troviamo di fronte a una tecnologia ormai matura, ampiamente entrata nella pratica per le più importanti ed estese coltivazioni nel mondo, soia, mais, cotone, colza.
I consistenti vantaggi economici, la sostenibilità ambientale, la possibilità di adottare pratiche agronomiche più efficienti, la comprovata sicurezza in termini alimentari e ambientali, che solo sulla base di motivazioni ideologiche si possono smentire, giustificano la popolarità presso gli agricoltori grandi e piccoli nei principali Paesi produttori delle colture sopra menzionate.
I costi di sviluppo relativi all'introduzione delle singole colture, in specie quelli relativi alla verifica della sicurezza, hanno costituito certamente un limite per quanto riguarda la possibilità che in questo ultimo quarto di secolo un numero più vasto di coltivazioni potesse essere interessato all'innovazione, ma le percentuali di adozione per le principali coltivazioni globali sono impressionanti.
Nei Paesi dove ci sono le colture biotech le percentuali di adozione oscillano tra il 90 e il 100% delle superfici interessate: nessuna tecnologia può annoverare risultati simili se non ha dimostrato la propria utilità. In poche parole i mercati sono ormai saturi e questo spiega la crescita rallentata. L'Europa rimane ai margini del fenomeno per motivi sostanzialmente politici. I circa 120 mila ettari di mais nella penisola iberica, Spagna e Portogallo costituiscono l'eccezione come unici Paesi coltivatori, sono tendenzialmente stabili, anche qui perché le necessità del mercato sono di fatto soddisfatte.
Se la tecnologia è matura, margini di innovazione ed espansione esistono comunque, se alle quattro colture principali aggiungiamo le potenzialità di canna da zucchero, barbabietola, erba medica, papaya, melanzana e zucchine, oggetto di più o meno recenti processi di miglioramento biotecnologico. Senza dimenticare che nuovi Paesi di coltivazione si sono aggiunti o sono in procinto di aggiungersi in Africa, Asia e Oceania.
QUALI PROSPETTIVE PER UN FUTURO MENO PROSSIMO?
Una seconda generazione di biotecnologie vegetali è già all'orizzonte. La crescente facilità e velocità di mappatura del genoma, la flessibilità e la precisione delle recenti tecnologie di editing genetico, la crescente conoscenza dei meccanismi metabolici aprono prospettive promettenti quanto ancora imprevedibili, anche in funzione della valorizzazione di prodotti di nicchia e portatori di tipicità.
Saranno capaci Italia ed Europa di approfittarne, senza chiudersi in anacronistiche preclusioni?
PER APPROFONDIMENTI:
SINTESI DEL RAPPORTO ISAAA: http://www.isaaa.org/resources/publications/briefs/54/executivesummary/pdf/B54-ExecSum-English.pdf
INFOGRAFICA ISAAA