SPECIALE BIOTECNOLOGIE PER LA BIOECONOMIA - Così si superano le barriere nel segno delle alleanze. Intervista a Fabio Fava

24 novembre 2023 - A margine dell'evento "European partnerships for a sustainable development" abbiamo intervistato il Professor Fabio Fava coordinatore del Gruppo di coordinamento nazionale per la bioeconomia presso il Comitato nazionale sulla biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio.

Lo scorso 8 novembre Assobiotec ha annunciato ad Ecomondo, in occasione dell'evento "European partnerships for a sustainable development" la firma di un accordo con la European Biosolution Coalition: una realtà internazionale nata lo scorso 26 ottobre a Bruxelles, con l’obiettivo di individuare e superare gli ostacoli normativi europei che frenano la diffusione delle soluzioni biotecnologiche in campo agricolo e industriale.

A margine di questo incontro abbiamo raccolto il commento della nostra Vicepresidente Elena Sgaravatti e intervistato il Prof. Fabio Fava, relatore all'evento, Professore ordinario di Biotecnologie industriali e ambientali presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Bologna, nonché coordinatore del Gruppo di coordinamento nazionale per la bioeconomia presso il Comitato nazionale sulla biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio.

Ecco le loro riflessioni  

Biotech per uno sviluppo sostenibile

“Le biotecnologie applicate in campo agricolo e industriale sono una straordinaria risorsa per uno sviluppo sostenibile, e possono giocare un ruolo chiave per dare una risposta concreta alle grandi sfide della nostra epoca: la necessità di produrre più cibo con meno risorse, la salvaguardia della biodiversità, la lotta al cambiamento climatico o l’urgenza di adottare un approccio One Health, solo per citarne alcune. Nonostante questo, però, ancora troppe barriere culturali e normative frenano il loro sviluppo a livello comunitario e nazionale”.

A sottolinearlo, a margine dell'evento, è stata Elena Sgaravatti, che ha aggiunto

“La nostra adesione alla European Biosolutions Coalition vuole essere un contributo che anche l’Associazione nazionale delle biotecnologie italiana offre per far cadere le tante barriere culturali e normative che stanno lasciando l’Europa ai margini di una rivoluzione globale: quella biorevolution sulla quale si sta costruendo il futuro del Pianeta”.

L’importanza di fare sistema

“Io credo che le biotecnologie non legate alla salute abbiano bisogno di aiuto, perché sono rimaste abbastanza indietro in termini di scale-up industriale e di interconnessione tra di loro”, ci spiega Fabio Fava.

“Per fare un esempio, il settore del green biotech – che contribuisce al miglioramento delle produzioni primarie vegetali – non lavora con il white biotech – quello industriale – che magari conosce come valorizzare al meglio quella biomassa per realizzare composti chimici, materiali o combustibili. Io li ho raramente visti lavorare insieme, sia a livello accademico che a livello di scala industriale. In generale, i diversi settori sono andati avanti come silos, ma questo non ha mai aiutato nessuno, specie ambiti relativamente piccoli. All’interno di questi settori, inoltre, c’è stato poco trasferimento di scala e questo rappresenta un’altra grande limitazione”, sostiene il Professore.

In questo contesto, secondo Fava, una coalizione europea che consente di condividere esperienze diverse, magari anche percorsi di trasferimento tecnologico già attuati con successo in alcuni ambiti e Paesi, può costituire un volano per queste biotecnologie, rafforzando soprattutto quelle che sono rimaste più indietro.

“È senz’altro un bene associarsi per crescere, imparare gli uni dagli altri, valorizzare questi diversi tipi di biotecnologie non legate strettamente alla salute, ma adesso è fondamentale che questa nuova alleanza si metta a sistema con quello che già esiste, per evitare duplicazioni e massimizzare gli impatti”, sottolinea il Professore. “Bisogna evitare la frammentazione – continua Fava - lavorando insieme a tutte quelle realtà che si sono già accreditate verso le istituzioni di Bruxelles, le istituzioni nazionali e anche la comunità scientifica.

La parola d’ordine è interconnessione, per fare sistema, così da raggiungere i propri obiettivi in maniera più efficace e con i possibili migliori benefici”.

Il valore strategico della bioeconomia

Queste biotecnologie, in particolare, hanno un ruolo propulsivo per la bioeconomia. Intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, come input per la produzione di beni ed energia, la bioeconomia si distingue per essere un meta-settore che comprende agricoltura, allevamento, acquacoltura, pesca, industria alimentare e delle bevande, silvicoltura, industria del legno e della carta, bioraffinerie, attività agroforestali e costiere, biotecnologie blu, e la valorizzazione integrata dei rifiuti organici e delle acque reflue delle città.

“Ma anche gli ambiti avanzati dei settori farmaceutico, cosmetico, chimico, tessile, dell’energia e delle costruzioni fanno ormai ampio uso dei prodotti della bioeconomia”, aggiunge Fava.

Lultimo rapporto dedicato a questo meta-settore - redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING e Federchimica Assobiotec - contiene stime aggiornate al 2022 rispetto al valore della produzione e degli occupati sia per l’Italia che per Francia, Germania e Spagna.

Nel complesso, il valore della bioeconomia dei 4 Paesi analizzati ha raggiunto 1.740 miliardi di euro, occupando oltre 7,6 milioni di persone. In Italia, nello specifico, la bioeconomia ha raggiunto un valore della produzione pari a 415,3 miliardi di euro, occupando circa 2 milioni di persone, con un incremento dell’output del 15,9% rispetto al 2021 e la conferma di segnali di crescita in tutti i comparti del meta-settore.

“Il nostro valore della produzione ci colloca al terzo posto in Europa, dopo Germania e Francia, mentre quello dell’occupazione al secondo posto, dopo la Germania. Ma questi sono anche Paesi più grandi e popolosi del nostro”, specifica Fava.

L’aspetto abilitante è la nostra capacità di fare ricerca e innovazione in tanti settori della bioeconomia. Se andiamo a guardare la presenza italiana nei progetti finanziati dalla Commissione europea nei programmi Horizon, nell’ambito della bioeconomia dal 2014 ad oggi, possiamo notare che l'Italia è seconda in Europa. E, attenzione, siamo secondi dopo la Spagna, prima della Germania e della Francia. Quindi, per quanto riguarda l’innovazione, siamo più competitivi di questi grandi Paesi, e questo è un segnale importante per me”, sottolinea il Professore.

Ma l’Italia ha anche altri punti di forza. “Siamo primi per biodiversità e per numero di prodotti food di qualità – mi riferisco, ad esempio, a quelli a marchio DOP o IGP – che immettiamo sul mercato. E abbiamo eccellenze anche nei bio-based sectors, grazie a prodotti biodegradabili e compostabili”.

Nel 2017 l’Italia ha messo in campo la prima Strategia Nazionale sulla Bioeconomia, nata per interconnettere al meglio tutti i settori che la compongono, in modo da esprimere appieno il potenziale strategico di questo meta-settore.

“Il percorso, del quale ho avuto la guida scientifica, è stato compiuto in stretta collaborazione con la Commissione europea”, racconta Fava.

Nel 2019, la strategia è stata aggiornata, allineandola a quella adottata dalla Commissione UE nell’ottobre 2018 e alle nuove priorità della bioeconomia del nostro Paese: dalla circolarità alla digitalizzazione, dalla biodiversità alla rigenerazione territoriale, fino alla bioeconomia delle città.

“Un’altra novità è stata la formalizzazione del ‘Gruppo di coordinamento nazionale per la Bioeconomia’, di cui sono il coordinatore, nell’ambito del CNBBSV, presso la Presidenza del Consiglio”, continua il Professore.

Successivamente è stato presentato l’Implementation Action Plan (2020-2025), un piano di implementazione della strategia nei territori, che prevede 5 grandi progetti nazionali, mobilitando gli attori pubblici e privati di tutto il Paese.

“Ma non sono stati anni semplici a causa della pandemia. Comunque, dei 5 progetti nazionali del Piano di Implementazione, 3,5 hanno indirizzato finanziamenti del PNRR. E, per quanto riguarda certe criticità, adesso ci sono dei gruppi di lavoro, coordinati dai cluster tecnologici nazionali o da istituzioni del gruppo di Coordinamento, che stanno elaborando possibili azioni e soluzioni dedicate, che saranno poi approvate dal Gruppo di Coordinamento Nazionale Bioeconomia”, precisa Fava.

Il ruolo delle biotecnologie nella bioeconomia

In questo scenario, le biotecnologie giocano un ruolo fondamentale.

Come key enabling technologies, le biotecnologie hanno un ruolo strategico, assolutamente cruciale in tutti i settori che compongono la bioeconomia. Sono tecnologie che ci consentono di produrre con più efficienza i prodotti pianificati, consentendo una maggiore sostenibilità di processo e di prodotto, grazie ai grandi vantaggi dei catalizzatori biologici, come enzimi o cellule microbiche. Tecnologie che ci offrono più possibilità di produrre, anche in condizioni avverse, e di valorizzare al meglio le materie prime di tipo biologico”, spiega Fava.

Seguendo la logica a colori che contraddistingue i diversi tipi di biotecnologie, il Professore ci spiega anche alcuni dei principali vantaggi di ogni categoria.

“Il ruolo centrale delle biotecnologie verdi, quelle sostanzialmente legate all’agricoltura, è di aumentare la produttività e l'adattamento ai cambiamenti climatici delle produzioni primarie vegetali. Le biotecnologie grigie o ambientali, ad esempio, sono preziose per rigenerare i siti inquinati, dove i microrganismi possono rimuovere gli inquinanti e quindi rigenerare e dare nuova salute al suolo o al sedimento compromessi. Un effetto che si riflette positivamente anche sulle biomasse che quel suolo può generare, una volta decontaminato. Tra l’altro, questa attività può avvenire anche in situ senza trasferire i suoli o i sedimenti contaminati dentro i bioreattori o altri impianti di trattamento biologico in superficie. Questo è qualcosa di favoloso, che va a complementare le azioni della bioeconomia che ha dunque anche la potenzialità di mediare la rigenerazione degli ecosistemi e della biodiversità”.

Poi ci sono le biotecnologie bianche o industriali, che promettono di rivoluzionare l’intera industria manifatturiera. In questo gruppo si possono riconoscere due macroaree: la chimica fine (bio-molecole e biomateriali) e la produzione di bio-energia (bio-combustibili e biocarburanti). Attraverso l’uso di queste tecnologie, i processi chimici convenzionali stanno conoscendo una profonda trasformazione, contribuendo a risolvere molte delle attuali problematiche, come la gestione dei materiali biologici di scarto, delle emissioni di CO2, delle risorse idriche ed energetiche.

Ci sono anche le biotecnologie blu che, secondo Fava, mostrano delle grandissime potenzialità, ancora non del tutto espresse. “Sono quelle legate ai microrganismi e agli enzimi che vengono, per esempio, dagli ambienti salmastri, dal mare o dalle acque oceaniche. E non dimentichiamo il prezioso aiuto delle alghe. Conosciamo ancora poco del mare, degli oceani, che insieme alle acque interne compongono il 70% della superficie del nostro pianeta, e dunque delle loro risorse. Sono convinto che molto potrà venire dagli studi su queste grandi matrici nei prossimi anni, soprattutto in termini di conoscenza di nuovi microrganismi ed enzimi o scoperta di nuove potenzialità per produrre ciò di cui abbiamo bisogno”.

Perché è fondamentale coinvolgere cittadini e consumatori

Di fronte a tutte queste innovazioni, Fava ricorda che è fondamentale coinvolgere anche i cittadini, i consumatori. Sempre. Perché nella bioeconomia, così come in altri settori dell’innovazione, se questi percorsi non vengono condivisi, il rischio è che una bella innovazione non venga riconosciuta come tale e non se ne utilizzino a fondo le nuove tecnologie e i prodotti che ne derivano. E che i nuovi prodotti non abbiano un mercato. Oppure che l’innovazione generata non corrisponda al meglio alle necessità del cittadino.

“Oggi, poi, abbiamo l’urgenza di ridurre il più possibile le emissioni di gas climalteranti”, sottolinea con enfasi il Professore. “Quindi, dobbiamo continuare a inventare nuove soluzioni, ma è indispensabile anche applicarle sui territori, perché abbiamo urgentemente bisogno di ridurre quelle condizioni di impatto antropico sull'ambiente che sono in grande parte responsabili dei cambiamenti climatici e di tutti i fenomeni a questi associati. È necessario anche rigenerare la biodiversità, che stiamo perdendo a ritmi sempre più preoccupanti, come è necessario rigenerare i suoli e gli annessi ecosistemi, perché producono il cibo da cui dipendiamo.

Per questo, è fondamentale coinvolgere cittadini e consumatori, perché questo ci consente di adottare e applicare con successo e puntualità queste tecnologie nei diversi territori, dove possono apportare benefici concreti, contribuendo in maniera più estesa alla transizione ecologica”.

Già, ma come riuscirci?

“Io, da un paio di anni a questa parte, ho una mia ricetta, di cui sono molto convinto: coinvolgere i giovani. Non solo quelli che frequentano l’università, ma anche tutti gli altri, dalle scuole superiori fino a quelle elementari. Ovviamente, a diversi livelli”, chiarisce Fava. “Perché è prezioso fare questo? Per due ragioni. Perché saranno i cittadini del futuro, ma soprattutto perché hanno una sensibilità molto accentuata su certe tematiche, specie quelle ambientali, e una grande capacità: allineare subito la famiglia, ovvero i cittadini di oggi, sulle proprie istanze”, spiega il Professore.

“Se nella mia vita ho fatto spesso qualcosa senza discuterne troppo, credendo in ciò che facevo, è quello che hanno chiesto i miei figli. Giovani e giovanissimi hanno una capacità di allineare e indirizzare che non ha eguali. Volendo fare un paragone proprio con le biotecnologie definite come key enabling technologies, mi sento di dire che i giovani possono essere considerati un altro viatico abilitante, che ci consente di raggiungere in modo rapido ed efficace i cittadini e coloro che ci devono aiutare a implementare o spingere a implementare l’innovazione”.

L'articolo è stato redatto dal giornalista Marco Arcidiacono, nell'ambito del progetto "Biotech, il futuro migliore".

Il progetto nel 2023 è realizzato da Federchimica Assobiotec, con il supporto di StartupItalia e grazie al sostegno di AbbVie, AGC Biologics, Alexion, Aptuit Verona (an Evotec company), AstraZeneca, Biosphere, BMS, Chiesi, DiaSorin, Genenta Science, Gilead, Novartis, Pfizer, Roche, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, UCB, Vertex.

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