SPECIALE MALATTIE RARE - Dal laboratorio alla casa del paziente: il contributo dell’industria biofarmaceutica per i malati rari

26 febbraio 2024 - Nel mondo i malati rari sono oltre 300 milioni. In Europa, circa 30 milioni. Nel nostro Paese, arrivano a superare i due milioni, tanto da poter riempire una metropolitana lunga 175 chilometri. Focus sul contributo del settore biotech, dalla ricerca all'home therapy con una intervista alle due coordinatrici del nostro Gruppo di lavoro Malattie Rare & Farmaci Orfani, Fulvia Filippini e Anna Chiara Rossi.

Nel mondo sono oltre 300 milioni. In Europa, circa 30 milioni. Nel nostro Paese, arrivano a superare i due milioni, tanto da poter riempire una metropolitana lunga 175 chilometri. Le persone che convivono con una malattia rara possono essere anche molto poche, considerando le singole patologie, ma “nell’insieme rappresentano una cifra tale da poter essere il terzo Paese più grande del mondo”, come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità. Ma quante sono le malattie rare conosciute fino ad oggi? Secondo un’analisi effettuata dall’Osservatorio Farmaci Orfani (OSSFOR), riportata nell’ultimo rapporto annuale, si parlerebbe di “un numero complessivo di oltre 10.300 patologie, numero che altri studi suggeriscono possa essere ancora sottostimato”. In ogni caso, stando sempre all’ultimo rapporto OSSFOR, appare condiviso che le malattie rare siano in realtà relativamente comuni se considerate nel loro insieme, e in crescita per effetto dell’aumento demografico e del miglioramento delle tecniche diagnostiche.

L’impegno nella ricerca

Diagnosi e terapie che non potrebbero esistere senza il cruciale contributo della ricerca scientifica. Su questo fronte, il Rapporto MonitoRare 2023, realizzato da UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare, evidenzia una crescita del peso degli studi clinici autorizzati in Italia su queste patologie sul totale delle sperimentazioni cliniche: dal 31,5% del 2018 al 35,3% del 2022. E, se andiamo a guardare alle diverse fasi della ricerca clinica, nel 2022 le sperimentazioni cliniche sulle malattie rare in Fase I e II superano abbondantemente la soglia del 50% del totale (56,9%). Da rilevare che gli ATMP (Advanced Therapy Medicinal Products) risultano più diffusi nelle sperimentazioni cliniche su queste patologie (8,7% vs. 3,8% dei casi complessivi), oltre che in aumento rispetto agli anni precedenti.

Negli ultimi ventiquattro anni, la ricerca e lo sviluppo di nuove e – spesso - prime opzioni terapeutiche per le persone affette da una malattia rara sono diventate sempre più centrali nelle attività dell’industria”, spiega Anna Chiara Rossi, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro Farmaci Orfani e Malattie Rare di Assobiotec, e VP & General Manager Italy presso Alexion, AstraZeneca Rare Disease. Rossi sottolinea che ciò è avvenuto anche grazie a una legislazione europea che ha consentito all’industria biofarmaceutica di misurarsi con rischi e sfide di frontiera che nella decade precedente apparivano insuperabili: basti pensare al “Regolamento europeo per i farmaci orfani del 2000 che ha dato un impulso straordinario agli investimenti in R&S per queste patologie”. Secondo l’ultimo rapporto OSSFOR, confrontando la disponibilità nei Paesi Europei (al 5 gennaio 2023) dei prodotti orfani approvati da EMA nel periodo 2018-2021, l’Italia occupa il secondo posto con 50 prodotti disponibili (82% sul totale dei 61 prodotti approvati da EMA nel periodo considerato). La Germania emerge come il Paese con la più alta disponibilità di farmaci orfani (55), mentre Francia (48 prodotti disponibili) e Austria (47) mostrano livelli di disponibilità simili all’Italia.

Il contributo dell’industria appare fondamentale nella promozione delle sperimentazioni cliniche. Ad esempio, come rivela il 20° Rapporto nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia, realizzato da AIFA, il triennio 2020-2022 ha registrato una crescita della quota relativa alle sperimentazioni promosse dalle aziende farmaceutiche, passando dal 76,7% all’85%. “L’Italia è sempre più impegnata nei vari trials clinici che, non dimentichiamolo, per la peculiarità del mondo raro, nella maggioranza dei casi, sono sempre studi internazionali che coinvolgono centri e pazienti a livello globale”, spiega Rossi.

Il nostro Paese, sia per la qualità dei suoi centri di eccellenza, che per il ruolo centrale che ha nelle varie ERN (le reti di riferimento europee per le malattie rare), ma anche grazie all’impegno dell’industria biofarmaceutica a investire qui sempre maggiori risorse, rappresenta uno degli avamposti della ricerca nelle malattie rare”. Un impegno, ci tiene a ribadire Anna Chiara Rossi, che non solo mira a trovare terapie che possano dare risposte alle tante persone che oggi non hanno ancora alcuna opzione terapeutica, ma anche a innovare per migliorare la qualità di vita di coloro che possono già avvalersi di trattamenti. “È però evidente che esiste un rischio legato alle evoluzioni del contesto normativo europeo di riferimento – segnala Rossi - che potrebbe compromettere ulteriormente l’attrattività stessa dell’Unione Europea (e in quota parte dell’Italia) rispetto agli studi clinici in un’area nella quale si concentra attualmente circa il 40% dell’intera pipeline dell’industria farmaceutica”.

anna chiara rossi

Anna Chiara Rossi, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro Farmaci Orfani e Malattie Rare di Assobiotec, e VP & General Manager Italy presso Alexion, AstraZeneca Rare Disease

Il contributo al nostro sistema sanitario

La capacità di presa in carico dei bisogni delle persone affette da una malattia rara è uno dei parametri con cui si misura l’efficienza di un sistema sanitario”, sottolinea inoltre Anna Chiara Rossi. “Nella stessa misura con cui nell’ultimo ventennio sono stati raggiunti risultati incredibili nella messa a disposizione di soluzioni terapeutiche, cambiando in molti casi la storia naturale di alcune malattie, anche nella presa in carico dei pazienti rari si sono compiuti notevoli progressi”. Rossi precisa che non tutto è ancora compiuto, ma ci sono importanti novità, come il nuovo Piano Nazionale Malattie Rare, che lasciano presagire miglioramenti della capacità di risposta del nostro sistema sanitario. “La complessità diagnostico-assistenziale della maggior parte delle malattie rare richiede un approccio e una gestione multidisciplinare integrata del paziente”, ricorda Fulvia Filippini, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro Farmaci Orfani e Malattie Rare di Assobiotec, nonché Director, Country Public Affairs Head Italy & Malta presso Sanofi Italia. “Sono, infatti, fondamentali il coordinamento rapido fra tutti gli specialisti, l’integrazione di tutti i servizi socio-sanitari e l’implementazione dei diversi sistemi informativi, per favorire la comunicazione tra gli specialisti e il pediatra di libera scelta/medico di medicina generale per la gestione routinaria del paziente”.

Secondo Filippini, la sfida per il SSN è quella di individuare strategie ottimali e omogenee sul territorio nazionale per migliorare sempre più la capacità di gestione di queste patologie, mettendo al centro il malato raro. “Il Piano Nazionale per le Malattie Rare 2023-2026 va in questa direzione”. A questo punto, continua Filippini, “diventa importante sensibilizzare il Ministero della Salute sull’importanza di attuare l’articolo 9, comma 1, della Legge n. 175/2021, per favorire il potenziamento e un migliore coordinamento della Rete Nazionale Malattie Rare. Ma è necessario porre l’attenzione del Ministero anche sull’importanza di prevedere un iter facilitato per un aggiornamento periodico dei tariffari delle prestazioni LEA e della lista delle malattie rare e relative prestazioni/codici identificativi, affinché una patologia non ancora riconosciuta dal SSN possa essere inclusa a beneficio dei pazienti”.

Anna Chiara Rossi ricorda che, nel corso degli ultimi dieci anni, l’industria biofarmaceutica si è fatta promotrice, insieme alle associazioni dei pazienti, della necessità di considerare le malattie rare un ecosistema in cui per raggiungere risultati effettivi ogni attore deve contribuire a fare la propria parte in armonia con gli altri. “Con questo approccio, e consapevoli delle peculiarità di questo ecosistema, l’industria non solo ha promosso un approccio più efficace nella presa in carico dei bisogni dei malati rari, ma ha agito nello spirito del principio di sussidiarietà, uno dei pilastri dell’architettura europea, fornendo programmi di supporto ai pazienti (PSP), che hanno consentito di superare, o mitigare, alcuni squilibri a livello nazionale, a favore di una maggiore equità”. L’industria biofarmaceutica, spiega Rossi, ha intrapreso da diversi anni quello che viene definito un approccio “beyond the pill”consapevole che i sistemi sanitari, come quello italiano, stiano affrontando una crisi di sostenibilità - nel far coesistere soddisfazione dei bisogni ed effettiva capacità di erogazione delle prestazioni - e una necessaria riorganizzazione degli obiettivi strategici. “In questa ottica, l’industria vuole essere partner delle istituzioni e dare il proprio contributo, oltre alla discussione su quali modelli possano essere adottati nel prossimo futuro per garantire l’effettiva erogazione di prestazioni efficaci per i pazienti, anche attraverso lo sviluppo di Patient Support Programs, che possono offrire diversi servizi”, spiega Rossi. “Dopo l’esperienza del Covid, il pensiero corre soprattutto all’assistenza domiciliare integrata, per dimostrare la praticabilità di nuove soluzioni di presa in carico”.

Cosa sono i Patient Support Programs e il ruolo dell’home therapy

Come spiega Fulvia Filippini, i PSP sono quell’insieme di servizi pensati per supportare i pazienti nella gestione della patologia. Questi servizi favoriscono una maggiore aderenza ai percorsi assistenziali, diversi livelli di autogestione e, in generale, una migliore qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver. I PSP possono declinarsi in vari modi: alcuni riguardano l’addestramento infermieristico del paziente e dei caregiver; altri prevedono l’utilizzo di dispositivi, applicazioni e strumenti digitali in grado di favorire la gestione e il monitoraggio a domicilio della patologia; altri, ancora, la presenza di un’equipe medico/infermieristica a casa durante le terapie. “È evidente come l’industria farmaceutica giochi un ruolo chiave nello sviluppo di questi sistemi”, continua Filippini. “Molte aziende, infatti, mettono a disposizione dei pazienti, tramite provider esterni, dei servizi di assistenza soprattutto per coloro che si trovano a dover affrontare patologie croniche e invalidanti”.

Fulvia Filippini

Fulvia Filippini, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro Farmaci Orfani e Malattie Rare di Assobiotec, nonché Director, Country Public Affairs Head Italy & Malta presso Sanofi Italia

La pandemia ha poi segnato un cambio di paradigma, dove il paziente ha assunto un ruolo sempre più attivo nel processo di cura. “Nel corso della pandemia, noi abbiamo supportato le strutture ospedaliere nel gestire al meglio i pochi posti a disposizione e lo abbiamo fatto aiutando i pazienti a gestire la propria salute dalla loro casa, rimanendo in contatto con i propri medici”, ricorda Filippini. “In questo contesto, le aziende hanno cercato di ‘reinterpretare il percorso di cura’ attraverso lo sviluppo di tecnologie digitali che permettessero ai pazienti di gestire in modo sempre più autonomo la malattia. Le aziende così non si occupano solo di offrire un prodotto, ma guardano al paziente a tutto tondo”. Al momento, segnala Fulvia Filippini, non esiste una normativa nazionale che disciplini queste attività, ma – tranne alcune regioni - le terapie domiciliari sono disponibili per i malati rari come da determina AIFA approvata nel marzo del 2020. “Purtroppo, permane un grande squilibrio territoriale che realizza, di fatto, disparità tra quelle persone con una malattia rara che vorrebbero accedere a forme di assistenza domiciliare”, prosegue Rossi, sottolineando un ulteriore aspetto: “I programmi di home therapy sviluppati dall’industria rappresentano anche un tentativo di bilanciare quel disagio che spesso si verifica quando il paziente transita dal Centro di Eccellenza all’assistenza territoriale”.

Allora, come si potrebbe favorire l’home therapy in Italia? “Consentendo sempre di più un’apertura da parte delle regioni alla terapia domiciliare, non solo tramite il SSN, ma anche tramite il supporto delle aziende stesse con i PSP”, risponde Filippini. “Tanto si è fatto durante la pandemia da Covid per tenere i cosiddetti fragili lontano dalle strutture ospedaliere, permettendo alle persone di recuperare tempi di vita, ma anche spazi agli ospedali affollati e aggravati dalla gestione del quotidiano”. Filippini ci tiene a chiarire che i Patient Support Programs non sostituiscono il SSN né rappresentano un percorso parallelo, ma un supporto complementare, che consente anche di sopperire a dei vuoti che esistono nei percorsi di cura. Vuoti che vengono esplicitati dagli stessi pazienti. “Perché è evidente che ci sono ambiti dove il SSN non riesce a intervenire, ma questi possono fare la differenza per la qualità di vita dei pazienti. È lì che l’industria può offrire il proprio contributo grazie allo sviluppo di sistemi innovativi. Anche per questo sempre più aziende sostengono gli accordi pubblico-privato per vedere i benefici di ciò che offrono a un livello più ampio”.

Anna Chiara Rossi punta l’attenzione sul Piano Nazionale Malattie Rare e il PNRR. Ambedue i piani hanno come punto di arrivo il 2026 e la loro effettiva realizzazione potrà dare un nuovo impulso a tutti i programmi di supporto ai pazienti, home therapy inclusa. “Ma, soprattutto, potrebbe essere l’occasione per rivedere a livello concettuale il contributo che l’industria può fornire non solo per la soddisfazione dei bisogni delle persone con malattia rara, ma anche per la sostenibilità dei sistemi sanitari”. Tirando in ballo anche una mozione sulle malattie rare, approvata lo scorso anno dal Parlamento all’unanimità, Rossi ricorda che tra le indicazioni date al Governo c’era quella di individuare nuove modalità di valutare le soluzioni terapeutiche, includendo la capacità di poter disporre di servizi fisici o digitali. “Assumendo quindi la possibilità di introdurre soluzioni terapeutiche integrate di cui il farmaco è solo una componente, si potrebbe disegnare un nuovo modello di assistenza che, facendo leva sugli obiettivi del PNMR e sull’innovazione tecnologica promessa dal PNRR, potrebbe davvero rivoluzionare la capacità di assistere le persone con malattia rara nel giro di pochi anni. Basta solo volerlo”.

L'articolo è stato redatto dal giornalista Marco Arcidiacono, nell'ambito del progetto "Biotech, il futuro migliore".

Il progetto nel 2023 è realizzato da Federchimica Assobiotec, con il supporto di StartupItalia e grazie al sostegno di AbbVie, AGC Biologics, Alexion, Aptuit Verona (an Evotec company), AstraZeneca, Biosphere, BMS, Chiesi, DiaSorin, Genenta Science, Gilead, Novartis, Pfizer, Roche, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, UCB, Vertex.

Dove siamo

20149 Milano
Via Giovanni da Procida, 11
Visualizza mappa 
Tel. +39 02.34565.1
Fax. +39 02.34565.310
Segreteria Assobiotec
Tel. 02 34565.383
assobiotec@federchimica.it