FORMAZIONE - Nella prima Settimana Nazionale delle STEM, un focus con i coordinatori del Gruppo Formazione di Assobiotec

08 febbraio 2024 - Siamo nel cuore della prima Settimana Nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (Stem). Iniziativa dei deputati Schifone e Foti, per promuovere, sensibilizzare e stimolare l’interesse e la scelta dei ragazzi e delle ragazze verso questi studi. La nostra intervista ai coordinatori del Gruppo di Lavoro Formazione di Assobiotec: Fulvia Filippini, Director, Country Public Affairs Head Italy & Malta presso Sanofi Italia e Andrea Paolini, Direttore generale Fondazione Toscana Life Sciences.

Siamo nel cuore della prima Settimana Nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (Stem). Infatti, per iniziativa dei deputati Schifone e Foti, dal 4 all'11 febbraio si promuove, sensibilizza e stimola l’interesse e la scelta dei ragazzi e delle ragazze verso questi studi. L’obiettivo è quello di aumentare la diffusione delle discipline tecnico-scientifiche in Italia, per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro, in particolare per donne e giovani. Si tratta di un primo passo di un progetto complessivo per la crescita delle materie Stem. 

Sicuramente un tassello chiave anche per lo sviluppo del biotech.

A questo tema abbiamo voluto dedicare, proprio oggi, il primo longform del 2024 intervistando i coordinatori del Gruppo di Lavoro Formazione di Assobiotec: Fulvia Filippini, Director, Country Public Affairs Head Italy & Malta presso Sanofi Italia e Andrea Paolini, Direttore generale Fondazione Toscana Life Sciences.

Alla conquista del futuro: il ruolo della formazione nel settore delle biotecnologie

Nel prossimo decennio, il settore biotech sarà testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni del comparto. Solo il 21% sarà in decrescita, mentre il 26% resterà stabile. L’incremento di questa domanda riguarderà soprattutto alcune professioni ad alta specializzazione, specifiche del settore e\o legate all’area tecnologica, come i ricercatori bioinformatici (+10,2%), gli ingegneri AI (+9,5%) e i ricercatori esperti di machine learning (+9,2%).

È quanto emerge dalla ricerca “Quale futuro per le competenze nel settore biotech?”, realizzata da EY e Jefferson Wells, il brand di Executive Search di ManpowerGroup, in collaborazione con Frezza & Partners e Assobiotec.

Tra le varie evidenze, l’analisi ha confermato che la transizione tecnologica in atto avrà un ruolo chiave nel futuro dell’occupazione, soprattutto come acceleratore dei processi di obsolescenza di professioni, competenze e mansioni. Per tutte le professioni indagate – sotto la lente di ingrandimento sono state messe 122 professioni – lo studio indica importanti trasformazioni degli skillset che le compongono, mostrando alcune criticità. Il modello, ad esempio, stima un aumento della difficoltà di reperimento dei profili per oltre il 70% delle professioni per cui è prevista una crescita della domanda di lavoro.

Allora, come prepararsi al meglio al futuro che ci attende?

La formazione, prima tappa fondamentale del Biotech Journey

La formazione è senza dubbio il migliore investimento che possiamo fare, soprattutto in un settore come quello delle scienze della vita, caratterizzato da un elevato grado di innovazione. Si tratta di un asset strategico che massimizza la produttività aziendale e permette di ottenere un vantaggio competitivo. Oggi per affrontare le sfide che ci attendono è necessario rendere strutturale e continuo nella vita di ogni azienda e dei suoi dipendenti un piano di miglioramento e acquisizione di nuove competenze”, sottolinea Andrea Paolini.

In questa prospettiva, la formazione costituisce la prima tappa fondamentale di un Biotech Journey ideale per lo sviluppo delle biotecnologie a livello Paese, che prevede come ulteriori tappe la ricerca, il trasferimento tecnologico, la crescita di startup e PMI, la produzione e lo sviluppo, fino all’accesso e alla semplificazione burocratica.

“La formazione è, quindi, uno dei più potenti strumenti di politica industriale capace di determinare non solo evidenti risultati economici, ma anche concreti effetti rispetto al miglioramento del grado di welfare aziendale”, prosegue Paolini. “Occorre, quindi, cogliere tutte le opportunità legate all'accrescimento sia delle competenze tecniche sia di quelle soft, mettendo in campo un’employee experience significativa, costellata da percorsi formativi che consentano alle persone di imparare e crescere adattando le proprie competenze a un contesto in rapida evoluzione come quello delle biotecnologie”.

Andrea Paolini

(Nella foto, Andrea Paolini, co-coordinatore Area Formazione Assobiotec e Direttore Generale Fondazione Toscana Life Sciences)

Sulla stessa lunghezza d’onda è Fulvia Filippini, per cui “la formazione è fondamentale”, specie in un contesto come quello biofarmaceutico. Dal suo osservatorio, infatti, Filippini sottolinea la profonda trasformazione dell’industria farmaceutica e una sempre maggiore complessità nella produzione dei farmaci biotech. “In Italia la presenza di numerosi grandi gruppi internazionali è bilanciata dalla storica tradizione di imprese più piccole per dimensioni e fatturato, ma non per questo meno all’avanguardia negli standard qualitativi. Il sistema Italia ha un grande retaggio nella produzione di brevetti innovativi, ma è molto più debole dal punto di vista del technology transfer e delle produzioni innovative”, ricorda la Direttrice.

“Il nostro tessuto industriale è molto forte dal punto di vista della produzione di farmaci ‘classici’, ma lo è sicuramente meno rispetto alle produzioni biotech, sia per le attrezzature necessarie a produrre farmaci innovativi sia per il personale che deve utilizzare queste macchine”.

La gestione e la progettazione di questi sistemi richiedono pertanto livelli di competenze sicuramente molto più elevati, sottolinea Filippini. Del resto, “produrre un anticorpo monoclonale o un vaccino presenta elevati livelli di complessità e necessita di competenze diverse dal produrre una molecola di sintesi chimica”. La trasformazione che ha investito il mondo del lavoro ha reso necessaria la ricerca di nuove competenze verticali e orizzontali e, di conseguenza, l’opportunità di sviluppare nuovi percorsi formativi ad hoc.

Tra l’altro, Filippini ci tiene a sottolineare che “l’industria farmaceutica ha fabbisogni specifici legati all’ambiente in cui opera, che orientano la ricerca dei nuovi assunti verso una specifica necessità di competenze tecniche difficili da trovare a seguito anche di percorsi universitari”. La specializzazione appare, dunque, uno dei desiderata più strettamente legati alla fase di trasformazione della filiera farmaceutico-biomedicale.

Fulvia Filippini

(Nella foto, Fulvia Filippini, co-coordinatrice Area Formazione Federchimica Assobiotec e Director, Country Public Affairs Head Italy & Malta presso Sanofi Italia)

L’orientamento verso le discipline STEM

Come spiega Andrea Paolini, “I settori science-based come quello delle biotecnologie sono caratterizzati da elevata intensità di conoscenza e R&S, cicli di innovazione rapida e personale altamente qualificato, creando posti di lavoro ad alto valore aggiunto, con una percentuale di lavoro femminile superiore a quanto avviene in media a livello nazionale”. In questo contesto, risulta chiaramente centrale la formazione nelle cosiddette discipline STEM, acronimo che sta per “Science, Technology, Engineering and Mathematics”.

Tuttavia, come emerge dalla nona edizione del report “Il ruolo dell’ecosistema dell’innovazione nelle Scienze della Vita per la crescita e la competitività dell’Italia”, realizzato da The European House-Ambrosetti, il nostro Paese si colloca al quattordicesimo posto in UE per numero di laureati nelle materie afferenti alle Scienze della Vita e conta ancora pochi laureati STEM, pari al 18,3% ogni 1000 abitanti. In confronto, ne hanno di più Francia (29,5%), Germania (24,0%) e Spagna (23,4%).

L’istituzione, in Italia, della Settimana nazionale delle discipline STEM, che si celebra dal 4 all’11 febbraio, mira proprio a colmare questo gap, promuovendo soprattutto nei giovani e nelle donne l’interesse e l’orientamento verso questi studi, fondamentali per la crescita del Paese.

In Italia, per continuare ad essere competitiva, l’industria farmaceutica ha bisogno delle discipline STEM”, sottolinea Fulvia Filippini, aggiungendo che le aziende biotech stanno cambiando pelle, grazie anche a tecnologie sempre più sofisticate. “I processi produttivi dei farmaci biotech sono sempre più digitalizzati, interconnessi e gestiti attraverso l’intelligenza artificiale. Le cosiddette ‘fabbriche del futuro’ sono già una realtà in tante parti del mondo (USA, Giappone, Canada, Singapore, Corea) e cominciano ad essere sempre più presenti anche in Italia. Gli operai di un tempo oggi vengono sostituiti da operatori specializzati e laureati STEM che devono controllare e gestire macchine e sistemi sempre più intelligenti”, racconta Filippini.

Allargando lo sguardo a tutto il comparto biotech, come spiega Andrea Paolini, “la formazione e lo sviluppo professionale verso le materie STEM possono diventare driver rilevanti soprattutto nel campo delle biotecnologie, perché rappresentano una delle maggiori opportunità per far crescere le performance economiche e gli indicatori di sviluppo nazionali anche nel nostro settore”. Del resto, una recente pubblicazione di EY stima che, a livello europeo, il comparto triplicherà il proprio valore fra il 2020 e il 2028 passando da 137 miliardi di euro a 418 miliardi di euro. Paolini tira in ballo anche i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che hanno evidenziato “l’importanza per il Paese di poter contare su un sistema formativo legato alla promozione della ricerca scientifica all’avanguardia. Proprio in virtù di questa spinta è fondamentale garantire una adeguata valorizzazione delle competenze scientifiche e tecniche, investendo sui principali attori della formazione, partendo dalle Università e dagli Istituti Tecnico Scientifici (ITS)”, spiega il Direttore.

Il ruolo degli Istituti Tecnico Scientifici

Entrando proprio nel merito, riguardo agli ITS che operano nell’ambito delle Life Science, come è possibile favorire una maggiore collaborazione con il mondo industriale? “Gli ITS rappresentano uno dei pilastri dell'offerta formativa del nostro Paese, capaci di garantire una solida base culturale di carattere tecnico e tecnologico. Una filiera dell’istruzione e della formazione professionale efficace, su cui si è scelto di investire 48,4 milioni di euro annui, fino al 2026, a cui si aggiunge lo stanziamento complessivo previsto dal PNRR pari a 1,5 miliardi di euro”, ricorda Andrea Paolini. Questo impegno economico, secondo il Direttore, rafforza il progetto di riforma e consolidamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’istruzione terziaria professionalizzante, garantendone la presenza attiva nel tessuto imprenditoriale dei singoli territori.

È proprio questa alleanza con le imprese a rappresentare uno strumento importante per superare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. “La sfida, soprattutto per il futuro – continua Paolini - dovrà essere quella di investire le risorse del PNRR per potenziare la diffusione della cultura tecnico e tecnologica: ad esempio, attraverso il potenziamento dei laboratori con tecnologie 4.0 o anche con campagne nazionali di comunicazione e orientamento rivolte a ragazzi e famiglie”.

Fulvia Filippini ribadisce che anche nell’ambito dell’industria biofarmaceutica le professioni tecniche di produzione, pur non richiedendo un titolo accademico per il loro svolgimento, nel corso degli anni hanno incrementato le necessità formative rispetto all’inserimento nel mondo del lavoro. “Gli ITS, in accordo con le imprese, stanno iniziando a fornire una risposta più efficace: unendo formazione e tirocinio formativo in azienda, e delineando il percorso biennale a più mani con le imprese, gli stessi riducono di non poco il divario tra domanda e offerta in termini di gap di competenze, semplificando l’inserimento di giovani lavoratori alla luce della loro più alta esperienza e specializzazione”.

Come favorire la collaborazione tra imprese e università

In questo contesto in profonda trasformazione, è fondamentale far dialogare e avvicinare anche imprese e Accademia.

Ma, oggi, di quali profili ha bisogno l’industria biotech?

Fulvia Filippini, per chiarire al meglio la situazione nell’ambito biofarmaceutico, riporta un caso di eccellenza: quello della regione Lazio. Secondo uno studio recente, “Il settore Farmaceutico e Biomedicale nel Lazio: strategie di politica industriale”, realizzato da Unindustria e Istituto per la Competitività (I-Com), nel Lazio il valore dell’industria farmaceutica più l’indotto dà occupazione a 49mila addetti e genera un valore aggiunto di più di 6 miliardi di euro. In termini di valore delle esportazioni questa regione detiene il primato in Italia con un valore delle esportazioni di prodotti farmaceutici pari al 35,3% sul totale nazionale e un valore assoluto di oltre 12 miliardi di euro nel 2020.

Lo studio evidenzia una forte richiesta di professionalità STEM: i profili più richiesti sono i laureati con indirizzo chimico farmaceutico, gli ingegneri industriali, e i laureati in scienze biologiche e biotecnologie. Analizzando i dati Excelsior-Unioncamere, emerge come la domanda per queste figure nella regione Lazio sia particolarmente elevata. Tuttavia, l’offerta riesce a soddisfare in tutti e tre i casi poco più della metà della domanda.

“Questa analisi pone la riflessione di approfondire quanto gli attuali percorsi curriculari universitari soddisfino i fabbisogni di competenze delle aziende, che hanno necessità di occupare laureati con le competenze specifiche che meglio si avvicinano allo scenario in mutamento dell’industria farmaceutica”, sostiene Filippini. “Il mismatch formativo – continua - potrebbe essere colmato, stante l’attuale offerta curriculare accademica, mediante Master universitari di I o II livello, oppure internamente alle aziende con un post graduation program. Da qui la necessità di un dialogo costante e la creazione di percorsi funzionali sinergici con l’Accademia”.

Secondo Andrea Paolini, bisognerebbe favorire un modello di formazione dove il mondo imprenditoriale sia un attore fondamentale, capace di contribuire in maniera determinante allo sviluppo di percorsi di orientamento e alla creazione di piani formativi integrati. Oltre a prevedere l’opportunità di fare un’esperienza in azienda, bisognerebbe creare un meccanismo efficiente di mappatura dei bisogni delle imprese per migliorare anche la programmazione didattica.

Per Paolini, esempi virtuosi di collaborazione tra industria e Accademia sono rappresentati dai dottorati industriali, che hanno l’obiettivo di promuovere l’inserimento di figure professionali di alto valore scientifico e tecnico all’interno delle imprese, favorendo meccanismi efficaci per il naturale trasferimento delle competenze. “Sempre guardando alle sinergie tra accademie e imprese, sarà importante individuare elementi premianti, per esempio di natura fiscale, a favore delle aziende che favoriscono l’inserimento lavorativo di giovani, donne e potenziali talenti”, prosegue il Direttore di Toscana Life Science. “Oltre ad attuare progetti e interventi di orientamento formativo già a partire dalle scuole secondarie”.

Il contributo della Fondazione ENEA Tech e Biomedical

C’è anche un altro soggetto che potrebbe avere un ruolo importante rispetto alla formazione in ambito biotech: la Fondazione ENEA Tech e Biomedical. “È un soggetto di interesse strategico nazionale naturalmente attento al nostro settore, che ha manifestato un forte interesse a operare verso il potenziamento degli strumenti e delle azioni anche nel campo della formazione”, spiega Andrea Paolini, sottolineando la capacità della Fondazione di agire a livello sistemico. “Siamo certi che possa essere un attore fondamentale per costruire progetti di sistema che possano diventare modelli innovativi nel campo dell’acquisizione di competenze specializzate anche su scala nazionale, partendo da quanto si è fatto a livello regionale”. Modelli sinergici, che riescano a integrare la visione strategica con quella operativa attraverso il coinvolgimento delle istituzioni e degli attori che operano sui territori.

L'articolo è stato redatto dal giornalista Marco Arcidiacono, nell'ambito del progetto "Biotech, il futuro migliore".

Il progetto è realizzato da Federchimica Assobiotec, con il supporto di StartupItalia e grazie al sostegno di AbbVie, AGC Biologics, Alexion, Aptuit Verona (an Evotec company), AstraZeneca, Biosphere, BMS, Chiesi, DiaSorin, Genenta Science, Gilead, Novartis, Pfizer, Roche, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, UCB, Vertex.

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