BIOTECH WEEK - Come cambia il lavoro nel biotech? Prospettive e trend

26 settembre 2022 - Nel prossimo decennio, il settore biotech sarà testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni del comparto. Tra i megatrend: la transizione tecnologica in atto avrà un ruolo chiave nel futuro dell’occupazione, soprattutto come acceleratore del declino di alcune professioni, competenze e mansioni.

Nel prossimo decennio, il settore biotech sarà testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni del comparto. Solo il 21% sarà in decrescita, mentre il 26% resterà stabile. L’incremento di questa domanda riguarderà soprattutto alcune professioni ad alta specializzazione, specifiche del settore e\o legate all’area tecnologica, come i ricercatori bioinformatici (+10,2%), gli ingegneri AI (+9,5%) e i ricercatori esperti di machine learning (+9,2%).

È quanto rileva la ricerca “Quale futuro per le competenze nel settore biotech?”, realizzata da EY e Jefferson Wells, il brand di Executive Search di ManpowerGroup, in collaborazione con Frezza & Partners e Federchimica Assobiotec.

Comprendere il mercato del lavoro per prepararsi ai cambiamenti

Obiettivo dello studio era comprendere con anticipo il mercato del lavoro per permettere alle imprese biotech, ma anche all’università e a chi si occupa di formazione, di prepararsi ai tanti cambiamenti in atto dal punto di vista occupazionale, per fornire ai giovani un quadro di scenario e un’offerta formativa utili nella prospettiva del loro possibile futuro lavorativo. Lo studio ci conferma che la programmazione, possibilmente fatta in collaborazione fra mondo accademico e industriale nell’ambito dei piani nazionali per la ricerca e l’innovazione, è una priorità sulla quale è urgente intervenire. Lo sviluppo delle nuove professionalità deve necessariamente andare di pari passo con lo sviluppo di un settore che ha l’innovazione nel proprio DNA: se non prepariamo oggi il nostro futuro, fra 10 anni il settore rischierà di trovarsi senza le competenze necessarie, con una conseguente perdita di competitività del Paese in un settore cruciale per la crescita di PIL e occupazione.

La ricerca ha indagato 122 profili professionali del settore biotech, stimando l’andamento della domanda di lavoro delle imprese fino al 2030 attraverso un approccio metodologico basato sull’analisi dei driver di cambiamento (megatrend) che impatteranno sul mercato del lavoro e sull’acquisizione di dati e analisi di esperti e operatori del settore, mediante workshop e un game digitale (chatbot Telegram). I dati raccolti sono stati poi elaborati grazie a complessi algoritmi di intelligenza artificiale, basati su tecniche di machine learning.

I megatrend che impatteranno sul mondo del lavoro

Tra le varie evidenze, l’analisi ha confermato che la transizione tecnologica in atto avrà un ruolo chiave nel futuro dell’occupazione, soprattutto come acceleratore del declino di alcune professioni, competenze e mansioni.

Nel settore biotech, inoltre, la domanda di lavoro sarà significativamente impattata anche dai seguenti megatrend: cambiamenti climatici e degrado ambientale, scarsità delle risorse naturali e cambiamento dei modelli lavorativi.

Per tutte le professioni indagate, lo studio indica importanti trasformazioni del set di competenze che le compongono (skillset), mostrando alcune criticità. Il modello, ad esempio, stima un aumento della difficoltà di reperimento dei profili per oltre il 70% delle professioni per cui è prevista una crescita della domanda di lavoro.

La tecnologia crea nuovi rischi e opportunità occupazionali

Mettendo in relazione la domanda di lavoro stimata per ciascuna professione con il numero di occupati nel settore, è stata realizzata una mappa che evidenzia le aree di rischio e opportunità occupazionale. È emerso che il 20,5% della forza lavoro occupata fa capo a professioni con elevata domanda di lavoro, ma scarsa quantità di forza lavoro, rappresentando quindi una forte opportunità occupazionale. Al contrario, il 7,4% della forza lavoro è caratterizzata da profili con un’elevata occupazione, ma bassa crescita della domanda di lavoro in futuro, con conseguente rischio occupazionale.

 

Nello specifico, la mappa mostra un elevato rischio occupazionale per le professioni a bassa qualifica della catena logistica (ad esempio, responsabili e operatori di magazzino, rispettivamente -7,3% e -7,1%) a causa dei potenziali effetti dell’automazione. Per queste figure, si consiglia l’avvio di azioni di mitigazione del rischio anche attraverso percorsi formativi di reskilling.

La situazione è diametralmente opposta per le professioni legate all’innovazione tecnologica, per le quali si prevedono elevate opportunità occupazionali. In questo caso, si suggerisce lo sviluppo di politiche di recruiting efficaci per ridurre lo skills mismatch (la differenza tra le competenze richieste e quelle effettivamente possedute dai lavoratori) e la difficoltà di reperimento, come per i cybersecurity manager (domanda di lavoro stimata, +11,3%), i business development manager (+10,7%) e i ricercatori bioinformatici (+10,2%).

Le zone centrali, invece, riguardano professioni per le quali le aziende dovrebbero investire in azioni di monitoraggio e governo, volte ad osservare l’evoluzione della domanda di lavoro, che potrebbero portare all’attuazione di attività di reskilling oppure upskilling per aumentare l’efficacia produttiva delle imprese e la resilienza occupazionale dei lavoratori.

Le conseguenze della crescente complessità degli skillset

Un’ulteriore analisi è stata condotta sull’evoluzione delle competenze e degli skillset, da qui al 2030, che ha evidenziato una complessità crescente, con una serie di conseguenze sull’evoluzione stessa delle professioni.

La prima riguarda la crescente difficoltà di reperimento dei profili professionali, che coinvolge il 70% delle professioni per cui viene previsto un aumento della domanda di lavoro, mentre per il restante 30% tale difficoltà risulta stabile nel corso del decennio. Esemplificativo è il caso del commercial excellence manager, per cui è previsto un aumento del 14,3% della difficoltà di reperimento, dal 2021 al 2030.

Professione

 

2021

2030

Commercial Excellence Manager

45,1%

51,5%

E-commerce manager

41,9%

46,6%

Solution architect

51,4%

56,3%

Business Development Specialist

46,8%

51,2%

Digital Marketing Analyst

28,5%

30,9%

Process Engineer

36,2%

39,2%

Remote Service Engineer

41,2%

44,7%

Software Maintenance Specialist

40,0%

43,2%

Strategic Account Manager

37,6%

40,6%

Supply Business Analyst

42,5%

45,7%

 

Un’altra conseguenza dell’aumento della complessità degli skillset è legata all’ingresso di nuove competenze e al relativo disallineamento (mismatch) tra le competenze degli occupati (o potenziali occupati) e quelle effettivamente richieste per svolgere una professione. In questo caso, il modello evidenzia come a soffrire maggiormente dello skills mismatch saranno le professioni specialistiche ad elevata complessità, come il robotic surgery engineer (+32,3%).

Professione

 

2021

2030

Robotic Surgery Engineer

19,1%

25,3%

Digital Communication Specialist

15,7%

20,4%

Systems Development Manager

21,4%

27,5%

Legal Intellectual Property Affairs Manager

16,8%

20,6%

Lean Manager

18,5%

22,5%

Health Economics Specialist

16,3%

19,5%

Alliance Manager

11,9%

14,2%

Access Strategy Manager

10,0%

11,8%

CRM Specialist

17,6%

20,6%

Governmental Affairs & Pricing Reimbursement

12,4%

14,4%

 

Infine, un’ulteriore conseguenza riguarda il bagaglio di competenze, che potrebbe subire processi di obsolescenza, una condizione che si riferisce al mancato aggiornamento delle conoscenze e competenze già presenti nello skillset. In questo senso, l’innovazione, intesa in senso ampio e non solo come, ad esempio, innovazione tecnologica, ma anche come innovazione di processo oppure di organizzazione del lavoro, può acuire tale fenomeno. l modello impiegato ha stimato un rischio di obsolescenza per le professioni indagate che varia dal 15% per gli ingegneri esperti di realtà virtuale al 29% per i brand & customer experience manager.

Nello scenario delle professioni del settore biotech, dunque, i risultati dell’indagine evidenziano la necessità da parte delle aziende del comparto di implementare strategie efficaci di recruiting, in particolare per quei profili la cui domanda si prevede in crescita, ma di cui c’è ancora un basso bacino di forza lavoro reperibile. A questo si aggiungono le necessarie azioni di upskilling e reskilling delle proprie risorse per evitare i fenomeni di mismatch e obsolescenza delle competenze, e al contempo aumentare l’efficacia produttiva delle imprese.

La trasformazione delle professioni 

Le traiettorie evolutive degli skillset hanno poi consentito di evidenziare tre processi trasformativi delle professioni, che prevedono la nascita di nuovi profili per distacco, fusione o ibridazione.

Nello specifico, riguardo al primo caso, ci si riferisce alla creazione di una professione per distacco di competenze da una professione esistente: la nuova professione sarà così definita da un set di competenze che costituisce un sottoinsieme della professione di origine. Il modello ha identificato tre casi di professioni coinvolte: technology transfer engineer, patient advocacy specialist e medical advisor.

La creazione di una professione può avvenire anche per fusione di competenze da due o più professioni esistenti, con la conseguente distruzione delle professioni che si sono fuse: è il caso di esempi che coinvolgono lo shift supervisor e il facility manager, o il regulatory specialist e il regulatory manager. Infine, il modello evidenzia la mutazione di una professione per ibridazione, quando la professione si ‘evolve’ attraverso la riproduzione di un sottoinsieme di competenze dai set propri di altre professioni. Al riguardo, in particolare, sono stati identificati i casi del digital pathology IT architect e dell’intellectual property manager.

Nel complesso, tali evoluzioni renderanno necessarie da parte delle imprese del settore azioni particolari di formazione, upskilling e/o reskillsing, per determinate professioni, che consentiranno la nascita di figure professionali altamente innovative in grado di fornire valore aggiunto alle aziende che le introducono nel proprio organico.

La partnership europea per la formazione nel biofarmaceutico

La nostra Associazione si è già mossa in questa direzione, siglando un accordo con Campus Biotech Digital, realtà pubblico-privata fondata da un consorzio di aziende farmaceutiche europee con un ruolo primario nel settore, che ha l’obiettivo di far crescere le competenze in ambito biofarmaceutico, fornendo una formazione innovativa e costruita sulle specifiche esigenze del comparto. L’accordo prevede una collaborazione di tre anni, durante i quali il personale delle imprese biotech aderenti e giovani laureati selezionati dalle imprese potranno accedere a percorsi di formazione nell’ambito della produzione biotecnologica, sviluppando uno specifico set di competenze, adeguato a rispondere alle necessità di un mercato in continua e rapida evoluzione.

“Questo accordo rappresenta un ulteriore contributo per la creazione di un tessuto produttivo nazionale sulla frontiera dell’innovazione”, spiega Lucio Rovati, componente del Consiglio Direttivo di Assobiotec-Federchimica con delega a formazione e università. “Perché, se il nostro Paese non vuole perdere la straordinaria occasione offerta dal PNRR e vuole competere in questo settore, deve anche attrezzarsi affinché il capitale umano in esso impiegato sia pronto ad affrontare tutte le sfide che i rapidi cambiamenti in atto ci porteranno ad affrontare”. Sono 13 i corsi attualmente previsti all’interno di un percorso di formazione triennale. Tra i principali focus: ecosistema della produzione biofarmaceutica, controllo di qualità, bioprocess data analyst e supply chain. “Ancora di più rispetto ai tecnici di produzione in altri ambiti farmaceutici, i professionisti della bioproduzione sono scienziati a tutto tondo. Conoscono l’origine, i meccanismi e il destino degli agenti terapeutici biotecnologici. È quindi necessario un aggiornamento continuo e una preparazione specifica che si plasmi costantemente alle nuove necessità,” sottolinea Rovati.

La formazione sarà erogata in modalità digital, con una particolare attenzione all’individuazione delle soluzioni più indicate per consentire il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, tra workshop digitali della durata di due ore, moduli immersivi e momenti di condivisione di esperienze e competenze. L’accordo siglato, in particolare, offre un’opportunità di formazione per otto aziende associate ad Assobiotec. Ma potrà ulteriormente svilupparsi coinvolgendo nuove imprese e startup interessate a investire sull’evoluzione delle competenze dei propri dipendenti.

Il percorso formativo e la condizione occupazionale dei biotecnologi

Guardare al futuro delle competenze, in qualsiasi settore, implica necessariamente scattare un’istantanea del presente per individuare opportunità e criticità, e quindi prepararsi a intervenire. Allora, la domanda sorge spontanea: qual è il profilo dei laureati italiani in biotecnologie e qual è la loro attuale condizione occupazionale? Sono in larga prevalenza donne (69,2%) e si laureano in media a 23 anni (23,2). La maggioranza consegue il titolo in corso (69,9%) e il voto di laurea, in media, si attesta su 102/110. È l’identikit dei laureati nel 2021 della classe di laurea triennale in Biotecnologie, che emerge dagli ultimi dati di AlmaLaurea. Lo scorso anno ha registrato 3.265 laureati, in aumento di 69 unità rispetto all’anno precedente e di 1320 unità rispetto al 2016, evidenziando una crescita costante negli ultimi 6 anni. Il 70% di chi ha compilato il questionario (95,4%) si iscriverebbe di nuovo allo stesso corso e allo stesso ateneo, e il 94,4% ha espresso la volontà di proseguire gli studi dopo il conseguimento del titolo.

Guardando i dati relativi ai laureati magistrali, la maggioranza sembra preferire i corsi di laurea di secondo livello in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche: il numero di laureati magistrali nel 2021 afferenti a questa classe di laurea (1.734), infatti, è più che doppio rispetto ai laureati della classe di laurea magistrale in Biotecnologie industriali (624), mentre il numero di quelli che hanno conseguito il titolo, nello stesso anno, nella classe di laurea magistrale in Biotecnologie agrarie si attesta sui 198 studenti. Le donne sono prevalenti anche tra i laureati di secondo livello, con una differenza più marcata per le Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche (76,2%) rispetto alle Biotecnologie industriali (58%) e quelle agrarie (52%).

infografica match the future 1

Rispetto alle performance di studio, in generale, la stragrande maggioranza degli studenti ha conseguito la laurea magistrale in corso e il voto di laurea, in media, è nettamente più alto di quello registrato per la laurea triennale (102/110): si passa, infatti, dal 110/110 della classe in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche al 110L/110 delle altre 2 classi di laurea magistrale. In aumento anche la soddisfazione per il percorso seguito: sono più alte, infatti, anche le percentuali di chi si iscriverebbe di nuovo allo stesso corso e allo stesso ateneo, con il 73,9% dei laureati nelle Biotecnologie per la salute, il 77,7% nelle Biotecnologie agrarie e il 78,8% in quelle industriali.

Spostando l’attenzione alla condizione occupazionale, a un anno dal conseguimento del titolo magistrale (2020) nella classe di Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, è occupato il 78,2% dei laureati, percentuale che sale fino all’89,7% a 5 anni dalla laurea (2016). Valori simili si registrano per i laureati in Biotecnologie industriali, con il 77% degli occupati a 1 anno dal conseguimento del titolo, e un tasso di occupazione all’86,6% a 5 anni dalla laurea. Per quanto riguarda la classe delle Biotecnologie agrarie, invece, a 1 anno dal conseguimento del titolo magistrale risulta occupato il 68% dei laureati, mentre a 5 anni dalla laurea si registra il tasso di occupazione più alto, con il 92,3% degli occupati.

Secondo l’ultima edizione del Libro Bianco sulla Professione di Biotecnologo, un’indagine a cura di Biotecnologi Italiani, sul fronte lavorativo circa il 50% dei biotecnologi lavora nel settore pubblico, mentre l’altro 50% nel settore privato, con una prevalenza nel pubblico (università) delle fasce più giovani e nel privato di quelle con maggior anzianità. In generale, il settore privato offre contratti più stabili e gratifiche economiche più in linea con le competenze e le responsabilità acquisite. Nel settore pubblico, invece, anche per le fasce più senior si osserva un appiattimento verso redditi medio bassi.

infografiche match the future 2

L’indagine, inoltre, evidenzia alcune criticità. Innanzitutto, la mancanza di un efficace orientamento alla scelta del percorso universitario e soprattutto al mondo del lavoro. Il 60% dei rispondenti, infatti, ha dichiarato di non aver ricevuto un orientamento adeguato alla scelta universitaria, percentuale che sale fino all’85% rispetto all’orientamento al lavoro. Da rilevare, inoltre, che nel settore pubblico il 74% reputa il percorso di studi molto attinente al lavoro svolto, il 21% abbastanza, il 4% non sufficientemente e solo il 2% per niente. Nel privato, invece, solo il 36% reputa il percorso di studi molto attinente al lavoro svolto, il 27% abbastanza, il 16% non sufficientemente, l’11% poco e il 10% per niente attinente.

In termini generali, nell’ambito pubblico, la fascia più giovane, che opera principalmente in laboratorio, sente il proprio lavoro come molto aderente al percorso formativo. Ma questo allineamento scende al crescere dell’età e con l’assunzione di ruoli più gestionali e manageriali. Al contrario, nel settore privato, dove anche i primi impieghi molto spesso non sono al bancone di un laboratorio, la percezione di svolgere un lavoro da biotecnologo è più bassa. Questa distanza si colma gradualmente al crescere della seniority e con l’assunzione di ruoli gestionali e manageriali, in opposizione a quanto avviene nel pubblico.

Una maggiore collaborazione tra Università e imprese

Secondo Biotecnologi Italiani, tra le varie proposte per superare le criticità emerse e valorizzare adeguatamente la figura professionale del biotecnologo, è necessario facilitare e rendere strutturale il dialogo tra accademia e mondo del lavoro, favorendo l’interscambio di competenze e la condivisione degli obiettivi formativi. Per Giorgia Iegiani, Presidente di Biotecnologi Italiani, è fondamentale far capire agli studenti quali sono le professioni a cui può accedere un biotecnologo, i numerosi contributi che questa figura può offrire, anche al di là delle carriere universitarie, che in genere sono ben note.

“Il biotecnologo neolaureato fatica ad avere accesso alle posizioni lavorative fuori dall’accademia e dall’Università perché non le conosce o non ritiene siano occupazioni da biotecnologo”, osserva Iegiani in un’intervista realizzata nell’ambito della terza edizione del progetto “Biotech, il futuro migliore”, promosso da Federchimica Assobiotec. Per gli studenti, una volta divenuti consapevoli della grande varietà di professioni a cui può accedere un biotecnologo, sarà sicuramente più semplice identificare quali siano le competenze richieste per ciascuna professione e, di conseguenza, prendere le decisioni più opportune, in linea con le proprie attitudini e interessi.

Un altro aspetto critico del mondo universitario è senz’altro la difficoltà a stare al passo con i tempi. Il mondo del lavoro sta assistendo a un’evoluzione rapida e costante, ulteriormente accelerata dalla pandemia. Il rischio è che le stesse persone già occupate si trovino nel prossimo futuro prive delle competenze altamente specialistiche che richiederà il mercato del lavoro. “L’università è rallentata dai tempi amministrativi, ma anche dalla durata del percorso di formazione, che impiega cinque anni per preparare una persona al mondo del lavoro”, spiega Antonio Marzocchella, Presidente della Conferenza Nazionale dei corsi di studio in biotecnologie, in un’intervista. “In alcuni casi c’è la possibilità di adeguamento in corsa di alcuni corsi di laurea, ma nella maggior parte dei casi abbiamo un tempo di adeguamento più lungo”.

Tuttavia, esistono strumenti più snelli per garantire una formazione rapida, sia per i giovani laureati che per le persone già occupate che hanno bisogno di aggiornare le proprie competenze. “Ad esempio, esistono i master, che possono anche essere condivisi o supportati dalle aziende”. A questi si aggiungono i minor, corsi equivalenti a circa un semestre, interdisciplinari e complementari al corso di laurea/magistrale. I minor permettono di arricchire il proprio ambito di formazione prevalente con competenze trasversali. “Sono strumenti che consentono allo studente di potersi impegnare in vari contesti lavorativi con un bagaglio formativo che va oltre la laurea magistrale frequentata”. Queste sono proposte formative snelle, “ma per essere efficaci richiedono una collaborazione tra università e imprese”, sottolinea Marzocchella.

Lucio Rovati punta l’attenzione soprattutto sui master post-laurea, “che dovrebbero essere organizzati in maniera assolutamente paritetica insieme alle aziende, che hanno ben chiare le necessità formative da affrontare per contribuire a preparare al meglio gli studenti al mondo del lavoro. In questo senso, l’interscambio continuo con l’università può essere molto proficuo”. Rovati, inoltre, sottolinea anche la necessità di formare un atteggiamento che, a suo avviso, sarà sempre più richiesto dalle aziende del comparto biotech, specie quelle biofarmaceutiche: “Noi cerchiamo soprattutto imprenditori, ma non nel senso convenzionale del termine. Cerchiamo imprenditori prima di tutto di sé stessi, capaci di guardare al di là delle proprie competenze, allo sviluppo delle aziende in cui andranno a lavorare, per aumentarne la resilienza e l’efficacia produttiva. Questo è un atteggiamento che dovrebbe essere formato nelle università”.

(articolo redatto dal giornalista Marco Arcidiacono, nell'ambito del progetto "Biotech, il futuro migliore", sviluppato in collaborazione con StartupItalia)

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In occasione della Biotech Week, insieme a StartupItalia, cercheremo di fotografare la situazione degli studenti di biotecnologie e di capire come evolverà il mondo del lavoro, quali i trend che cambieranno il futuro, le prospettive occupazionali e le competenze sempre più richieste. Lo faremo attraverso approfondimenti, interviste a professionisti del settore, dando spazio ai dati raccolti da associazioni e società di consulenza. 

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